Pazienti ed Empatia con lo spazio: come l’ambiente aumenta i Risultati dello Studio Dentistico

Come agire sullo spazio per mettere il Paziente a proprio agio e aumentare la fidelizzazione e i Risultati

Un nuovo Potenziale Paziente apre la porta dello Studio e, nel giro di soli 6 secondi, il suo cervello ha già emesso un pregiudizio su di Te.

Non hai ancora aperto bocca, non hai ancora mostrato la tua competenza…ma il suo inconscio, ha già emesso una piccola sentenza, che influenza tutto quello che verrà dopo.

Perché?

Perché gli spazi nei quali opera uno Studio Dentistico non sono mai neutri.
O comunicano qualcosa: ordine, autorevolezza, benessere.
Oppure comunicano qualcos’altro: disordine, trascuratezza.

E diventano un altro touch point del tuo Studio. Che prima ancora di fare arrivare il nuovo Paziente in poltrona per la visita, influenzano nel bene e nel male quello che pensa di Te.

So che è un paragone che ti può dispiacere sentirtelo dire ma in un certo senso, è un po’ quello che può succedere a Te quando, ad esempio, guardi da fuori un ristorante che non conosci.
Ti sembra una bettola trascurata e automaticamente nella tua testa si forma l’idea che lì dentro si mangi male, perché poi è sporco.
Oppure vedi che è carino e raffinato e automaticamente pensi che si mangi bene.

Certo, non è un giudizio definitivo. Ma se pensi che a quel punto entra in gioco il bias di conferma, che ti fa andare a cercare le conferme ai tuoi pregiudizi, capisci che lo scenario che si disegna è molto chiaro.

Ecco perché in questa puntata, parliamo di architettura e di estetica.

Abbiamo un super ospite, Andrea Bellodi: un Architetto, un Visionario, un Esperto di spazi che comunicano fiducia e sicurezza e, soprattutto, rendono piacevole lavorarci dentro a Chio ci deve passare un sacco di ore.

E con Lui, smontiamo un po’ di miti comuni e vediamo anche qualche consiglio, perché questa non è solo una questione di stile. È una questione di posizionamento, è anche una questione di efficienza ed è pure una questione di soddisfazione e di orgoglio personale.

Quale formato scegli?

A questo punto puoi decidere se ascoltare questo argomento grazie alla puntata del podcast “Grassi Risultati in Odontoiatria”, guardare il video oppure se immergerti nella lettura delle mie parole. A Te la scelta!

Qui sotto puoi ascoltare il podcast.

Qui puoi guardare il video

Oppure continua a leggere.

***

Intervista con l'Architetto Andrea Bellodi

Andrea Grassi:

Ciao Andrea, benvenuto, sono strafelice che oggi Tu sia qua con noi!

Intanto perché mi fa piacere averti come ospite: io non l’ho detto prima, ci conosciamo tantissimo più che altro per il mondo dei cavalli e non solo per quello dell’Architettura (anche se il mondo dei cavalli e il mondo dell’architettura si mischiano nella nostra conoscenza). Ma non voglio aprire questa parentesi sennò non ne usciamo più.

Raccontaci Tu dai, brevemente, Chi sei perché puoi fare sicuramente una presentazione più efficace della mia.

 

Andrea Bellodi:

È molto semplice: io sono un Architetto, ho uno studio qui in Italia e un altro in Svizzera.
Lavoriamo principalmente su commesse private, lavoriamo su edifici residenziali, su edifici sportivi e su edifici industriali.
Siamo uno studio medio piccolo, non siamo uno studio “industriale”. Siamo uno studio artigianale e su questo forse, anche il nostro carattere sta un po’ lì.

Però il tema dell’architettura su cui lavoriamo, è un tema trasversale. Per cui lo puoi applicare tranquillamente tutte le volte che cominci a ragionare sulla qualità dello spazio in cui vivi.
E allora quello diventa un tema del nostro lavoro, questo è nella sostanza.

L’empatia con gli spazi

Andrea Grassi:

Io questo lo vedo molto nei progetti che fai, nei progetti che fate.

Voglio farti una domanda particolare: se dovessi raccontarti non tanto come Architetto ma come qualcuno che entra in empatia con gli spazi e con Chi li vive, da dove partiresti per unire queste due cose?

 

Andrea Bellodi:

Questa è una domanda abbastanza difficile, perché se mi metto dalla parte del fruitore degli spazi, se io entro e comincio a leggerli come quello che li vive, allora questo è un tema abbastanza intuitivo. È una cosa che è comune a Tutti.

Diciamo che tra tutte le varie grandi entità, lo spazio è uno di quei “soggetti” che tutti noi viviamo abbastanza con una certa indifferenza.

Significa che Tu non sempre ti accorgi coscientemente dello spazio che stai vivendo: che sia uno spazio interno o esterno.

Ecco, su questa relazione, trovare l’empatia che ti faccia capire se stai bene in quel momento, in quello spazio, se quello spazio determina se Tu effettivamente hai un benessere più o meno alto, questo è forse uno dei temi più difficili.

Perché quasi sempre non ci facciamo caso.
Magari ci sentiamo a disagio, Tu ti puoi sentire più o meno a tuo agio (anche tralasciando il fatto che magari è uno spazio che tu frequenti e quindi conosci e quindi ti senti un pochino più a tuo agio). Alle volte anche in spazi nuovi dove non sei mai stato, ti senti improvvisamente bene, dici “Wow! Bello, fantastico.”

E qui entri nel tema dell’empatia, che diventa un tema incredibile, potentissimo.

A me piace molto come mi hai posto questa domanda: è bellissima! Perché parli di empatia dello spazio.
Ed è proprio lì, cioè bisognerebbe cercare di ascoltarsi molto quando si ha a che fare con lo spazio.

 

Andrea Grassi:

Ti ho fatto quella domanda in quel modo, perché mi rendo conto che hai fatto proprio un passaggio su questo.

Io ogni tanto entro in posti che mi trasmettono determinate sensazioni, nei quali mi sento più a mio agio. E in altri che non mi trasmettono la stessa cosa: e non sto parlando di estetica. Cioè, non è il “è bello o brutto”, è proprio qualcosa di più ampio.

E non avevo mai collegato che potesse essere il disegno, l’organizzazione (non so bene come definirlo, quale vocabolario in italiano utilizzare per definire questa cosa).
Però in effetti sì: ci sono dei posti che ti trasmettono delle sensazioni, altri che te le trasmettono in modo completamente diverso.

Come entrare in empatia con lo spazio: le 2 dimensioni da considerare

Andrea Bellodi:

Sì, è esattamente così.

Il fatto appunto è che è difficile concentrarsi e capire che deriva da quella questione lì.

Tu senti lo scorrere del tempo, se vuoi, hai un orologio eccetera, vedi la scansione giornaliera: il tempo è molto più presente.

Lo spazio, che invece è l’altro elemento nel quale ci muoviamo, è quasi dato sempre un pochino per scontato.

Però se Tu consideri la grande questione, su come entrare in empatia con lo spazio, la puoi dividere intanto in due, per cercare un attimo di semplificare le cose.

Un conto è lo spazio esterno che Tu vivi in maniera di relazione, tra grandi spazi, che possono essere più o meno aperti, ma sono spazi esterni.
E poi ci sono gli spazi interni, quelli in cui siamo tutti abituati un pochino a vivere, a passare in realtà la maggior parte del nostro tempo. Quasi sempre è legato al lavoro o alla casa però sostanzialmente, lo spazio in cui viviamo è in maggior parte uno spazio interno.

Ecco, questa è una prima grande distinzione per capire di cosa parliamo.

Poi che la qualità di uno spazio possa avere delle regole per l’esterno e delle regole per l’interno, questa è via via frutto un po’ di tutta la storia dell’Architettura.

Sicuramente sull’esterno lo spazio è sempre dato dalla relazione tra gli edifici, dalla relazione tra i grandi spazi vuoti. È un contrasto quasi sempre tra pieno e vuoto, la relazione che si instaura tra questi.

Te la semplifico come 2 grandi sistemi.
Poi dopo, è sempre tutto un pochino più complesso forse di come lo dico. Però all’essenza delle cose, c’è questo sistema di relazione sull’esterno.

Invece sull’interno è tutto un pochino più semplice. È tutto molto più controllato. Perché in generale sono i progettisti – oppure anche nell’architettura spontanea non necessariamente progettata, come nell’edilizia eccetera – hai sempre delle altre relazioni che sono relative con lo spazio interno.
C’è una mediazione, sono due mondi che si relazionano tra di loro e che in qualche modo hanno delle regole un pochino simili e dell’assonanza.

L’empatia con lo Spazio all’interno dello Studio Dentistico: cosa rende l’ambiente di lavoro piacevole

Andrea Grassi:

Entrando con questo concetto all’interno dello Studio Dentistico – lo riporto al layout – cosa distingue un layout funzionale, da uno frustrante nel quale lavorare?

La funzionalità dell’ambiente di lavoro

Andrea Bellodi:

Questa è una domanda che ha a che fare con la funzione intanto.
Per cui usciamo un attimo dalla considerazione sullo spazio, che è un tema su cui si può parlare per ore.

La questione di come funziona invece un layout, di come funziona nel caso specifico uno Studio Dentistico, è qualcosa prima di tutto, primariamente, connesso a una logistica, a un aspetto funzionale in senso stretto.

È un po’ come una macchina. Noi abbiamo bisogno di alcune cose che funzionano in un certo modo, che fanno muovere le ruote, che fanno andare una sequenza di eventi in connessione eccetera.

Per uno Studio – che in questo caso è uno Studio che ha a che fare col settore medico – c’è sicuramente una parte molto importante legata alla sequenza delle funzioni che Tu devi garantire, perché quella prestazione funzioni e vada in porto nella maniera più fluida possibile.

Questo è un tema su cui ragionerei.

Perché molto spesso, c’è l’idea che un bello spazio – anche uno Studio Dentistico che possa funzionare, per la mia esperienza – possa in qualche modo essere accattivante da un punto di vista estetico.

L’estetica è qualcosa di cui possiamo parlare, è una cosa fondamentale, alla fine è quello che vediamo…

 

Andrea Grassi:

Beh, l’abito fa un po’ il monaco, quindi, in parte, influenza anche in questo senso.

 

Andrea Bellodi:

Questo è senza dubbio, alla fine si deve tornare lì.

Però è vero anche, che c’è Chi questo aspetto lo vede da un altro punto di vista.
Cioè se io lavoro dentro uno Studio, se sono lì 8 o più ore al giorno, se ho sostanzialmente la mia Vita incentrata sulla mobilità che ho all’interno di quello spazio… Quanto tempo ci metto, quanto posso fare in sequenza le mie prestazioni eccetera… allora questo è un’altra logica.

Diciamo che se Tu approcci un lavoro sopra uno Studio Dentistico di qualunque natura, la prima questione è come lo fai funzionare bene. E poi dopo viene un’altra serie di relazioni.

L’altra serie ovviamente, che riguarda anche l’estetica – e siamo d’accordo – ma io la riporterei poi sempre all’idea di come vivi quello spazio lì.

Quindi, un conto è il Fruitore, un conto è l’Operatore all’interno di quello spazio lì. Sono due mondi.
In entrambi i casi, quello che devi garantire, è che ci sia una sorta di benessere empatico, che Tu possa sentirlo come uno spazio nel quale vivi e lavori bene, da più punti di vista.

 

Andrea Grassi:

Guarda, io di Studi, di layout di Studi, di piante di Studi ne ho viste in questi anni un sacco. Perché è tipico che molti dei nostri Clienti, saturano la struttura all’interno della quale lavorano quando arrivano da noi. Non lo pensavano nemmeno possibile.
Poi in realtà, si rendono conto che con un Sistema diverso, hanno risultati diversi. E a un certo punto la struttura che hanno gli va stretta.

Quindi approcciano un ampliamento, un cambio di sede, una trasformazione, proprio per avere banalmente quel numero di poltrone che gli serve per sostenere il nuovo volume d’affari.

E a volte mi portano i layout.
Io ovviamente non ho le competenze lato estetico. Però molto spesso, guardo come sono stati progettati quegli Studi.

E noto 2 macro questioni.

La progettazione degli Studi Dentistici

Andrea Grassi:

Faccio un passaggio che uso semplicemente per spiegare il concetto. Poi forse non è collegato alla vostra professione (e non vorrei pestare delle mine!).
Ma vedo la differenza che c’è tra uno Studio progettato da un Interior Designer – te la dico così – che ragiona da un punto di vista prettamente estetico.
E quindi vedi che ci sono dei rendering che dici “Wow che figo!”.

Poi vai a guardare la pianta e noti che banalmente c’è la collocazione in pianta di determinati servizi, che se cominci a fare i conti di quanta strada deve fare l’ASO tutti i giorni per, non so, andare dalla sterilizzazione alle sale operative, portando avanti e indietro la roba, perché ha collocato la sterilizzazione dove sta bene ma non dove sta comoda… Se fai i conti e le metti un contapassi, ti accorgi che la ASO fa una maratona tutti i giorni!

E allora vedi la differenza, tra io l’ho definito “Interior Designer” e Architetto, poi forse non è corretto nella pratica e so che tocco delle cose delicate ma era più un linguaggio della strada, per cercare di far capire la questione.

 

Andrea Bellodi:

No… no. In realtà, ecco, non tocco quel tasto perché potrebbe essere un po’ pericoloso…

 

Andrea Grassi:

Va bene! Ecco, ho messo il dito dove non dovevo.

Il concetto di funzionalità ed efficienza

Andrea Bellodi:

Diciamo che in entrambi i casi, una questione è poter fare una sorta di restyling ed è un restyling che Tu percepisci, perché hai dato una qualche forma di rinnovamento, di freschezza a un ambiente.

Un’altra questione invece, è programmare o progettare una distribuzione degli spazi, quindi un layout di spazi, questo sì, utilizzando altri parametri che entrano nella progettazione. Che sono ad esempio la gestione della luce naturale/artificiale e come questa riesce in qualche modo a incidere negli ambienti.
E poi dopo, le questioni di funzione di cui parlavamo prima.

Perché come dici giustamente Tu: se devo rispettare un ciclo di pulito e attraverso questo non riesco a fare un anello in sequenza ma devo per forza avere delle intersecazioni tra spazi che tra di loro in qualche modo non comunicano, allora forse il ripensamento primario che dovrei fare è come riesco a ottimizzare questo, prima di passare a come lo rendo in qualche modo accattivante o riesco a mediarlo per il Fruitore finale.

Cioè: quanto mi costa il tempo speso, se gestisco uno Studio di quel tipo?

Non è un estremizzare un concetto di funzionalità.
È semplicemente evitare la frustrazione di Chi dice “Potevo fare la metà della fatica… A fine giornata già il carico e la concentrazione è importante, io devo averla ottimizzata.”

Ecco questa ottimizzazione qui è una è una fase molto molto delicata nella progettazione di questo genere di interventi.

Diciamo che non puoi farne a meno.

Se dovessi pensare, ragionare su questo, il punto primario, visto che stiamo parlando di una professione tecnica, che dei requisiti che sono requisiti sanitari, sono prescrizioni sanitarie principalmente ma sono anche legate proprio alla tecnica del lavoro. La tecnica una sua sequenza di rispetto che va in qualche modo garantita.

Su questo bisogna ovviamente avere un pochino di esperienza in merito però si arriva a poter considerare e ottimizzare tantissimo.

 

Andrea Grassi:

Sì, anche perché, noi parliamo tanto con l’Accademia, di efficienza in generale. E avere magari degli sprechi di questa efficienza nel layout, è un peccato. Perché comunque o qualcuno si deve tirare il collo di più, o riesce a gestire meno Persone in una giornata.

E si parla tantissimo di ecologia in questo periodo.
Secondo me uno Studio deve essere ecologico, non solo per l’impatto esterno che ha ma anche per l’impatto interno che ha sulle Persone che ci lavorano dentro.

Se c’è un modo per far fare meno fatica alle Persone, per raggiungere lo stesso risultato, va assolutamente perseguito.

I 3 errori più gravi quando si cambiano gli spazi interni dello Studio Dentistico

Andrea Grassi:

Alla luce di questo, Andrea, quando Tu vedi Titolari che decidono di sistemare i loro spazi (sistemare vuol dire abbellire, riorganizzare, ristrutturare, ridisporre qualsiasi cosa), quali sono i 3 errori più gravi che vedi più comunemente fare nell’approccio, nelle richieste, in qualsiasi ambito della questione?

 

Andrea Bellodi:

Posso provare a risponderti così.

Secondo me intanto, il primo discrimine, sta in una sorta di grado di compromesso.
Il compromesso sta nel fatto, ad esempio, dal cosa deriva quello spazio. Se hai uno Studio, come classicamente accade, magari fatto accorpando 2 o 3 unità immobiliari all’interno… Quello è il primo step: è il caso in cui ad esempio, c’erano 2 o 3 appartamenti, li hai messi insieme e li hai fatti diventare qualcos’altro.

Ecco, quello è un grado di compromesso molto alto a cui ti devi in qualche modo piegare. Perché hai una disposizione degli spazi, alle volte strutturale, che devi rispettare: e in quei casi, certe cose non le puoi fare, non puoi cambiare certi layout.

Allora, da quel punto di vista, forse a monte di tutto, c’è la scelta che Chi ha un proprio studio deve fare. Se hai quella situazione lì, sai che devi cercare di lavorare proprio di cesello, per poter andare in qualche modo a garantire la funzionalità all’interno di un compromesso.

Il compromesso, non è nulla di che, si salta fuori bene anche da quelle situazioni lì. Anzi, quasi sempre sono forse anche le più diffuse, quando stai intorno alle 3 o 4 poltrone al massimo.
Lì c’è un tipo di lavoro di un’altra intensità, in cui bisogna stare molto attenti e a qualche cosa bisogna rinunciare. Quasi sempre a qualche cosa bisogna rinunciare.

Quando passi invece in una situazione che ti dà pianta libera, che questo sia un edificio già esistente ma che magari anche strutturalmente è un edificio più tendenzialmente industriale, quindi Tu hai grandi spazi liberi, allora lì diventa più facile poter avere una gestione e una fluidità che nel lavoro che ovviamente puoi garantire in altro modo.

Questo è il primo tema però se entro un po’ di più, nel capire quali sono gli errori a cui stare attenti forse sono alcune cose quelle che non vedo.

Gli impianti a servizio dello Studio Dentistico

Andrea Bellodi:

Cioè quasi sempre, dal punto di vista impiantistico.
Considerare che esiste una parte impiantistica legata all’edificio, quindi è il cuore della macchina che funziona: non bisogna dimenticare che molto molto sta lì.

Quindi c’è una parte di impianto che riguarda l’edificio. Una parte di impianto tecnico, che riguarda proprio le macchine/le poltrone. Una parte che riguarda la gestione dei rifiuti, la sequenza di pulito, di sterilizzazione, eccetera.

Cioè c’è tutta un’impiantistica specifica, che gira a suo modo e sulla quale, se Tu non metti mano e se non garantisci che quella abbia una vita lunga, per quanto Tu hai progettato nella tua fattibilità, dopo il rischio è quello che rivesti, rifai, sistemi… e poi hai un cedimento, da quel punto di vista, dopo qualche anno.

Invece, metter mano gli impianti, significa alla fine mettere mano a tutto il resto.

Quindi la prima questione è: funziona tutto?

Bene, la seconda questione, che poi è legata anche ai costi di gestione, è: ma io dentro questo spazio qua, ho ad esempio una gestione energetica caldo/freddo funzionale?

Bisogna perciò essere sicuri di aver sistemato il più possibile anche la parte energetica.

E Tu mi dirai: “Tutte queste, sono cose che magari potevi mettere in secondo piano, perché lì una parte di budget c’è andata”… Però questa ti torna nel tempo, ti torna anche molto nel breve periodo non nel lungo periodo.

Quindi questi sono i primi 2 aspetti non visti, un po’ taciuti, sui quali io ragionerei.

E poi dopo, la terza questione, è un po’ quella che dicevamo prima, cioè l’estetica finale. La consideriamo e la facciamo arrivare dopo che abbiamo fatto un check sopra al flusso di lavoro. Questo è fondamentale.

La parte finale però non è meno importante. Cioè probabilmente quello che vede il Cliente, che è il tuo Fruitore finale, che è quello che deve tornare, che si deve sentire bene in quello spazio lì e avere un certo appeal quando vive quello spazio, è un tema che nel budget non deve essere estremizzato.

Io continuo a pensare che serva la sostanza dietro agli Studi, cioè serve che la macchina funzioni bene. Quando la macchina funziona bene, allora devo decidere quale parte di budget finisce nella parte estetica, nella parte finale. E allora su quella lì riesco poi dopo avere il bilancio.

Ecco, è un po’ un equilibrio tra parti.

 

Andrea Grassi:

Provo a tradurre, per come l’ho compreso.

Non tanto partire dal dire “faccio una bella scenografia hollywoodiana, poi tutto quello che c’è dietro possono essere delle assi di legno che la tengono in piedi” ma invece parto dalla sostanza e poi dopo ci metto sopra una rifinitura che valorizza tutto quello.

La scelta di materiali, colori e texture

Andrea Grassi:

Collegandomi a questo, per mettere insieme un po’ le cose che stai dicendo, adesso la prendo da un punto di vista meramente per la parte finale. Quella che il Paziente vede quando è in Studio ma anche quella che gli Operatori che passano 8-10 ore lì dentro vedono.

Che materiali, colori, texture, comunicano maggiormente competenza, sicurezza, benessere?

Io se avessi uno Studio sono le 3 parole che vorrei che i miei spazi comunicassero al Paziente che ci viene lì dentro: competenza, sicurezza e benessere.

C’è qualcosa che indirizza? C’è qualcosa che funziona meglio di qualcos’altro? Ci sono delle regole?

 

Andrea Bellodi:

Guarda, la questione di come, ad esempio, i materiali, l’aspetto finale, possa incidere sulla percezione che dai di Te, è sicuramente un tema interessante. Ciascuna categoria se vuoi si può rifare a questo discorso.

Non so, ti faccio un esempio parallelo, che non c’entra nulla.
Ma se devi progettare una Banca, nella progettazione di una Banca, devi stare molto attento a cosa comunichi. Perché nella Banca c’è la custodia di un patrimonio e questa questione Tu non la puoi dare con una matericità, ad esempio, che può deperire rapidamente. Quindi devi usare materiali importanti o materiali che durano, che danno il segno del tempo.

Ci sono anche materiali contemporanei, non devi fare una banca necessariamente di pietra, la puoi fare benissimo di cristallo, d’acciaio, di altri materiali.
Però il senso è che il materiale trasmette qualcosa.

Luce naturale e luce artificiale

Andrea Bellodi:

La prima questione però è che i materiali trasmettono una riflessione della luce. E questo è il tema legato al materiale e alla gestione dello spazio.

Su questo ti faccio entrare su un dettaglio. E cioè: qualunque sia il materiale che io introduco all’interno di uno Studio, di una Clinica Odontoiatrica, è un materiale che viene illuminato o artificialmente oppure naturalmente.

Allora la prima domanda quindi è: che tipo di luce riesce a entrare in quello spazio, in quell’ambiente?
E in base a quello, possiamo capire il materiale.
Adesso ti faccio degli esempi generici, però se Tu hai la luce naturale che colpisce una parete di legno, oppure di intonaco, oppure di vetro, hai delle riflessioni di colorazione della luce riflessa, che sono completamente diverse.

Questa questione della luce riflessa, è legata alla luce naturale.

Allo stesso modo, quasi sempre, negli ambienti interni abbiamo una parte di luce artificiale molto importante o compensativa o che la fa da padrona.
Per cui anche da questo punto di vista, il materiale è associato a una luce.

Quindi, se io dovessi ragionare farei prima un discorso di riflessione della luce.

Questo si dice che è “site specific”, cioè, in base a quel contesto, a quella situazione, a quello Studio, a quella Clinica, riesco a capire se ce la giochiamo di più o di meno sulla luce artificiale, sulla luce naturale e poi dopo faccio una sorta di campionario.

Non credo che esista un materiale che a priori ti dice o ti rappresenta, cioè può essere benissimo che in quel contesto, Tu utilizzi un materiale che, viceversa, da un’altra parte non avrebbe lo stesso riverbero, perché non ha la stessa condizione naturale di luce.

Questa è la prima questione.

Poi, sicuramente ci sono alcuni materiali che anche per fatti e ragioni gestionali, o dal punto di vista proprio sanitario o altro (cioè tutti i materiali organici), Tu fai fatica a introdurli in un ambiente che deve essere garantito da un punto di vista sanitario.

Altrimenti si potrebbero fare gli Ospedali o le Cliniche con tanti materiali diversi, anche più “friendly”. Però certe cose vanno garantite, quindi bisogna studiarli bene.

Io comunque non mi preoccuperei tanto del materiale in sé – rispettate queste priorità – quanto di come quei materiali lavorano in quell’ambiente lì.

Non so se, forse, non ho risposto alla tua domanda…

 

Andrea Grassi:

In realtà hai dato una visione che va ben oltre la mia domanda. Perché parte proprio da un punto di vista più alto, più strategico. E forse questo si collega un po’ all’errore che il Cliente – in questo caso il Titolare di Studio fa – ma che potrebbe essere lo stesso che faccio io.

Perché ragioniamo in questa maniera: “Ho visto questa cosa bella là, mi è piaciuta tantissimo, la vorrei fare anch’io qua”.

Ma tu hai introdotto un concetto che è: quella cosa che funziona là, non funziona là perché è quella cosa in sé, ma è un sistema di elementi interconnessi tra loro, che partono dalla tipologia di luce che c’è in quello spazio.
E quindi dalle finestre che hai, dai punti luce che hai, dall’esposizione che hai, che dovrebbe essere il vero punto di partenza.

Hai aggiunto un passaggio secondo me molto più interessante della mia domanda che era decisamente più se vuoi banale ma anche magari errata concettualmente.

L’approccio minimalista

Andrea Bellodi:

Guarda, quella è la domanda…

Chiunque mi possa chiedere una consulenza in merito a quello, la domanda è posta in questi termini ed è corretta la tua domanda. Semplicemente, è come io interpreto quella domanda, che può cambiare le cose.

Ma le cambia perché, di nuovo, la mia attenzione, è attenzione sullo spazio. Cioè, io lavoro sullo spazio: è quello che a me serve come strumento, prima di qualunque tipo di aggiunta.

E quello che dici è corretto. Spesso tendiamo a vedere un po’ “un campionario” e dico “questo mi piace… mi piace quell’oggetto… mi piace l’arredo, la finitura, la tipologia di trattamento della parete…”.

Sono tutte cose che di per sé sono molto belle, possono anche essere di grande pregio e di grande costo. Però non necessariamente, una volta aggiunte, finiscono nel posto giusto.

Se vuoi, il mio è un approccio un pochino più minimale: io tendo a togliere, cerco di togliere più che di aggiungere.

E quindi, probabilmente, la prima cosa che ti direi, è che se funziona quello spazio, funziona per ragioni che non sono strettamente quelle che andremo ad aggiungere.

Cioè, non è quello che io ti metto in più che fa funzionare quello spazio lì.
Ma è la sua condizione di partenza, legata ad esempio alla luce, alla dimensione, al rapporto tra l’altezza e la larghezza di quell’edificio, di quella stanza, di quell’ingresso, eccetera.

Un esempio applicativo nello Studio Dentistico

Andrea Bellodi:

Ti faccio un esempio, all’interno proprio di uno Studio.

Lo spazio che Tu dedichi a Chi è in sala di attesa, lo spazio primario dell’ingresso, la sequenza di spazi che fai per arrivare all’ingresso, sono considerazioni che predispongono – in un modo o in un altro – il Paziente nel momento in cui poi dopo arriva, si siede, sa che da lì a poco entra in contatto con Te.

Nella gestione di questa sequenza, che è lo spazio primario nel quale il Fruitore (quindi il Paziente), interagisce nella parte iniziale, c’è da prestare tantissima attenzione.
Perché è quella parte di spazio e quell’operazione, che te lo fa in qualche modo sentire più o meno a suo agio e quindi essere più o meno predisposto nei tuoi confronti.

Quindi ci può essere un trattamento di un tipo nella prima parte, nella gestione, nella valutazione della qualità spaziale di tutta questo setting iniziale e poi dopo si fa un discorso diverso.

Quante volte può capitare di vedere un layout all’interno di uno Studio Odontoiatrico, di una Clinica (o di quello che è) in cui tu dici:

“Ma guarda che se invece giriamo le cose laddove si può fare – cioè dove la ristrutturazione è profonda e importante, dove abbiamo dei nuovi impianti – se io ti ruoto tutto questo sistema e facciamo entrare <<da qua piuttosto che da qua>>, riesco a darti una sequenza molto migliore per percezione visiva, per tua impronta in qualche modo.”

Ecco, queste sono sfaccettature che però ti portano a leggere le questioni in modo diverso.

E dal punto di vista poi della scelta estetica del campionario di cui parlavo prima, beh, io cerco di essere sempre molto sobrio però con qualche accenno un pochino più interessante. Ma è la parte divertente del lavoro: alla fine, è la parte che in qualche modo ti sottolinea se hai fatto un buon lavoro oppure no.

Cioè una buona parte aggiunta su un lavoro mediocre, non lo rende un lavoro particolarmente brillante.

Quindi le due cose arrivano in sequenza, è una sequenza un po’ accrescitiva: se sono andate bene le cose all’inizio, allora dopo ti si rende un pochino tutto più facile.

3 Consigli per raddoppiare la qualità percepita anche con budget limitati

Voglio lasciarti con una domanda semplice:

Come usi il tuo tempo, oggi? Come Architetto del tuo successo… o come operaio dei problemi degli altri?

Andrea Grassi:

Ho due domande ancora per te e riguardano 2 estremi.
Parto da quella meno divertente, perché potrebbe essere un piccolo incubo operativo.

Immagina, Studio piccolo, datato e aggiungiamoci anche budget limitato.

Che micro consigli dai al Titolare di uno Studio di questo tipo, che vuole però raddoppiare la qualità percepita, l’immagine che dà?

Piccolo, datato e poco budget.

 

Andrea Bellodi:

Diciamo quindi che sei in uno Studio sotto le 3 poltrone. E forse, in una situazione, magari, anche un pochino più datata dal punto di vista anche della struttura o dell’edificio generale…

Allora, se le condizioni sono quelle, vuol dire che gli impianti e il layout sostanzialmente è a parte, cioè vuol dire che ti funziona e lo tieni così.
In qualche modo va bene.

La gestione della luce artificiale

Andrea Bellodi:

Quello che ti resta sicuramente è, di nuovo, la gestione della luce. Ma in questo caso ti direi la gestione della luce artificiale.

Non so la situazione generale però se è uno Studio di quel tipo, mi aspetto una luce naturale scarsa o perlomeno molto ordinaria, ok? Con una finestra, piuttosto che la finestra schermata…

Quindi la gestione della luce artificiale è fondamentale.
Su questo si apre un tema tecnico difficile ma potentissimo.

Perché dal colore della luce, alla disposizione, al tipo di luce che usi, se questa luce si dice che “lava il muro”, (cioè se è una luce radente raso muro), se è una luce spot, se è una luce mirata, se è una luce che accenna o accentua delle parti piuttosto che altre, eccetera.
Questo è un tema sicuramente importante che cambia la percezione delle cose in maniera importante.

Io adesso sto ragionando più sul Paziente, perché abbiam dato per scontato che non posso intervenire più di tanto nel layout funzionale.

 

Andrea Grassi:

Sì, ha senso.

L’isolazione acustica all’interno dello Studio Dentistico

Andrea Bellodi:

Starei attento il più possibile a un secondo aspetto…

La seconda questione, è legata sempre ai sensi e alla percezione.
Quindi oltre alla luce, ci metterei la questione dell’audio, cioè quello che sento.

Quando Tu entri in uno Studio, soprattutto quando è piccolo, per cui gli spazi sono molto ravvicinati tra di loro, sentire le strumentazioni che lavorano come sottofondo costante, in qualche modo ti crea sicuramente una predisposizione non del tutto positiva.

Quindi lavorare magari sul poter isolare uno spazio, o viceversa, isolare gli spazi residui, dal punto di vista acustico, è fondamentale.

E la cosa più facile è dire:

“Ok, mi concentro. Ho una sala d’attesa per quanto piccola o grande, lavoro sull’acustica di quello spazio lì. E magari quello che percepisco è qualcosa di rilassante.”

E quindi è un audio-video in qualche modo, con cui lavori escludendo il resto o in qualche modo isolando quell’ambiente.

È un po’ come una camera di registrazione: Tu devi garantire che non ci siano troppe interferenze.
In quel modo, hai fatto una tabula rasa in cui puoi sovrascrivere qualcosa di positivo.

Il comfort degli spazi

Andrea Bellodi:

L’ultima questione, è sulla comodità fisica degli spazi e dei posti in cui sto.

La comodità fisica attraverso le sedute, attraverso quello che è proprio il momento in cui io, come Fruitore, sono in poltrona o in sala d’aspetto (o comunque all’interno di quello spazio) e quanto mi sento comodo e a mio agio.

Non è una cosa secondaria il fatto che una sedia scomoda all’ingresso, o una poltroncina in sala d’attesa, possa creare in quel poco tempo che ho a disposizione, una peggiore predisposizione ulteriore.

Sono sempre quelle cose semplici sulle quali non riflettiamo più di tanto. Magari quella poltrona mi è piaciuta. L’ho comprata perché è un tocco di stile eccentrico, eccetera.

Ma quante poltrone di design non funzionano? Tantissime. La maggior parte è scomoda.

 

Andrea Grassi:

Guarda, ti racconto un aneddoto proprio su questo…

Abbiamo una sede, nella quale da 15 anni ormai, facciamo tutti i corsi del percorso della nostra Accademia.
E mi ricordo proprio esattamente quello che dicevi.

Questo hotel, è un hotel con una spinta di elementi di design molto forte.
Sala meeting con sedie di design bellissime (che quando guardi la sala meeting vuota con queste sedie all’interno, dici “Meravigliosa!”).

Ecco: questionari di feedback di fine corso, sistematicamente emergeva che “le sedie sono scomode, non si riesce a stare seduti 3 giorni, spaccano la schiena, spaccano il sedere, eccetera”.
Tanto che, abbiamo fatto comprare all’hotel delle sedie molto più banali, tradizionali, con la ribaltina. Però almeno le Persone stanno sedute e sono felici.

Nell’altro caso erano bellissime ma si alzavano col male al sedere.

 

Andrea Bellodi:

E il rischio che c’è in tutto ciò è: Che cosa ti ricordi di quell’evento? Non ne potevo più di star seduto.

Allora, quanta energia è passata, quanto hai perso della concentrazione di Chi avevi davanti perché in quella situazione lì erano a disagio?
La stessa cosa, vale in qualunque ambiente.

Ti ho detto un po’ di punti, che sono punti di superficie. Però diciamo che la condizione al contorno, è quella lì. Quindi io prima di tutto baderei a quello.

Una cosa che non ti ho detto prima in merito alla luce artificiale, è che la luce artificiale di per sé ha una colorazione.
Tutte le luci hanno un grado di temperatura della luce – che si misura in Kelvin – che varia dalle luci fredde alle luci calde e che ti danno una percezione completamente diversa.

Ci sono luci di lavoro che in qualche modo, sono obbligate per poter vedere i dettagli e i contrasti. E su quello non si può tanto lavorare.
Però, di nuovo, e per tutto quello che riguarda il Fruitore, nelle fasi iniziali c’è tanto da poter fare anche su quello e su come quella luce artificiale, si riflette sui materiali che hai inserito.

Ecco queste sono cose sicuramente che non incidono pesantemente su un budget di recupero ma che ti possono dare tanto con poco.

La progettazione di un nuovo Studio Dentistico

Andrea Grassi:

Questa era la domanda dello Studio piccolino, poco budget, piccoli interventi.

Vediamo invece l’altra domanda che voglio farti, quella più divertente!

Hai carta bianca, lo puoi disegnare da 0, come lo progetteresti?

 

Andrea Bellodi:

Questo non capita quasi mai… Sarebbe bello!

Allora ti dico anche un’altra cosa: quando hai dei vincoli, il progetto riesce meglio.

Perché cerchi di risolvere delle tematiche.
E risolvendo, automaticamente inneschi una serie di meccanismi che migliorano il progetto, cioè che lo fanno diventare in qualche modo una sequenza più ragionata e quindi più approfondita. E il progetto matura di più.

Però diciamo che, non esiste un progetto a sé, non è mai un progetto a sé.
È sempre un progetto in un contesto.

La connessione con l’ambiente natura esterno

In merito a questo, ti potrei dire che sicuramente cercherei di lavorare su un’idea che stringa di più il rapporto ambientale, cioè uomo-natura.
Perché qualunque sia la situazione, se io sono in centro a Milano oppure sono in uno Studio di provincia, in qualche modo, in tutti i casi, cercherei di lavorare con una connessione a qualche elemento naturalistico (che se vuoi è abbastanza estrema).

Ti faccio un esempio.

Se dovessi concepire uno spazio per uno Studio/una Clinica in cui poter lavorare liberamente, avrei in mente di poter concedere a ciascuna poltrona di vedere fuori.
Di “vedere fuori” nel senso di vedere un giardino, un patio, qualcosa che abbia a che fare col vedere l’orizzonte, il verde, le alberature, le colline, eccetera. Di legarlo cioè a un contesto che non sia quella stanza, portarli fuori.

Adesso ricordo un progetto fatto in una situazione in realtà che è esistente, in cui il cliente aveva acquistato una serie di spazi ex-commerciali, una serie di vetrine una di fianco all’altra, in un edificio che era nato come blocco commerciale. Di fianco c’era una lavanderia, poi c’era uno studio tecnico, insomma c’era una serie di negozi di altro tipo.

E lì, la prima questione che mi dice il cliente è: “Beh, queste grandi vetrate le chiudiamo, le facciamo diventare finestrature, poi dopo le mascheriamo, c’è la questione della privacy, ….”.

In realtà il gioco lì è stato proprio di dire: abbiamo un grande vantaggio che è quello di guardare il parco che c’era di fronte, gli alberi di questo parco e di avere una superficie di luce naturale che mediamente non è mai in una situazione esistente.

È difficilissimo.

Per cui, come si può adattare uno Studio di quel tipo, dentro uno spazio commerciale vetrato?

Dal nostro punto di vista, è stato quello del lavoro sull’acustica, quindi delle vetrate molto performanti che escludevano completamente il rumore sull’esterno.
Dall’altro punto di vista, poter serigrafare questi vetri fino a un’altezza di circa 2 metri, oltre la quale – siccome lì c’era margine in altezza – il vetro tornava ad essere vetro trasparente e io continuavo a vedere le chiome degli alberi del parco di fronte. Avevo perciò un legame con lo spazio che conoscevo prima di entrare.

Di fatto, questa sequenza di spazi dove le poltrone principali erano nelle vecchie vetrine, crea un clima assolutamente positivo.
Perché, proprio come Paziente, non lo percepisci come un’operazione una operazione eccezionale perché non stai entrando in uno spazio via via sempre più chiuso.

È una prestazione che molto spesso tutti noi facciamo prima di fare la spesa o prima di andare a recuperare i figli, eccetera.

Fa parte della vita comune, questo legarsi alla quotidianità e credo sia un aspetto molto interessante.

 

Andrea Grassi:

Decisamente.

 

Andrea Bellodi:

Se dovessi farlo, ti dico la verità, continuerei a lavorare per cercare di guardare uno spazio naturale.
In sostanza, questo è il concetto.

Mi immagino uno Studio, qualunque sia il numero delle poltrone, potrebbe avere anche una disposizione radiale, avere internamente uno spazio, un patio, uno spazio quasi meditativo ma legato alla natura.
Così come, invece, avere la ricerca del punto lontano, dell’orizzonte o del contesto che puoi avere di fronte.

Il quinto prospetto

In tutto questo, ti aggiungo una cosa che invece aspetto quasi con ansia di poter realizzare.
Che è un tema, qui parla l’Architetto-Paziente, che io ho sempre considerato all’interno di tutti gli Studi, che è il tema del quinto prospetto.

Il quinto prospetto, è una cosa molto semplice in architettura.

Gli edifici hanno 4 prospetti generalmente. Questi 4 prospetti, sono quelli che noi percepiamo nella nostra relazione orizzontale, cioè camminiamo su un piano orizzontale e abbiamo 4 prospetti che costituiscono l’edificio.

Il quinto prospetto, è quello che Tu vedi quando prendi l’aereo: decolli e automaticamente vedi i tetti che non vedi mai. Oppure li vedi su Google Maps quando utilizzi un navigatore satellitare e metti la visione satellitare.

La visione satellitare è il quinto prospetto.

Questo quinto prospetto, all’interno di uno spazio chiuso lo ribaltiamo. Quindi è un quinto prospetto tra virgolette. All’interno di uno spazio chiuso, è quello che tu guardi quando sei coricato, è il soffitto.

Allora, quello che Tu ricordi durante la prestazione – qualunque sia il tempo in cui il Dentista lavora con Te – è il fatto che hai quasi sempre un soffitto bianco, che risuona assolutamente vuoto. Nel quale hai la concentrazione, o sul Dentista che ti trovi sempre davanti, oppure sui rumori che senti, cerchi un punto di fuga.

Quel punto di fuga, potrebbe concretizzarsi considerando che il soffitto sia a tutti gli effetti uno schermo. Ma che sia uno schermo interattivo in qualche modo. Oppure uno schermo addirittura screenwall, cioè che possa completamente trasformarsi come un grande intrattenimento.

Perché sai che il potere delle immagini domina (e adesso lo sappiamo tutti dall’utilizzo continuo dei telefoni, degli schermi, eccetera). Però in realtà ha un potenziale anche positivo molto importante.

Immagina di avere, anche ad alta definizione, tutta la superficie del soffitto in qualche modo a schermo interattivo.
Tu con questo, puoi sicuramente incidere sulla rilassatezza, sui livelli di stress che può avere il Paziente in quel momento.
Incidi perché sappiamo che le immagini incidono sul cortisolo, sull’adrenalina, sulla noradrenalina: tutti quelli che sono ormoni che portano stress e che ti possono dare in qualche modo un feedback.

Ecco, io spero, prima o poi, di poter sperimentare su questo e di considerare il quinto prospetto all’interno degli Studi Dentistici.

 

Andrea Grassi:

È molto figo!

Bisogna trovare un Dentista con del budget, perché con sei sale operative, un ledwall attaccato al soffitto, fa una buona quota del budget, considerando gli impianti e tutte le cose di cui abbiamo detto prima.

Poi comunque, qua c’era carta bianca, quindi qui si poteva fare quello che si voleva!

In conclusione

Andrea Grassi:

Senti un po’ Andrea, visto che Chi ascolta questo podcast ha uno Studio Dentistico e molti dei Dentisti che ci ascoltano, sono Dentisti che sono anche in crescita con le loro Attività, come possono contattarti?

Sia che vogliano o non vogliano sviluppare il quinto prospetto del loro Studio?

Hai una mail, un indirizzo, un modo per mettersi in contatto con Te?

 

Andrea Bellodi:

È facilissimo, basta utilizzare l’email di Studio.

Il nostro Studio si chiama OQU Architettura, la nostra email è info@o-q.it questa è l’email italiana.

Basta mandare una mail e fare una richiesta di contatto. E poi dopo, rispondiamo noi ed entriamo in contatto diretto, eccetera.

Si può valutare sicuramente.

 

Andrea Grassi:

Guarda, Andrea, grazie.

Io ti ringrazio tantissimo perché, a parte ho imparato qualcosa, ho imparato qualcosa di nuovo, approcci diversi. A me fa impazzire quando prendo consapevolezza di modi diversi di guardare le cose, rispetto a come le ho sempre guardate.
E mi hai dato dei punti di vista molto differenti.

Dalla partenza dell’estetica dalla quale siamo partiti, rispetto all’elemento che dovrebbe arrivare dopo, fino ad arrivare al quinto prospetto.

Grazie mille, grazie per essere stato qua!

Un saluto a Tutti quelli che ascoltano o leggono il Podcast.

 

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