Come creare uno Sudio Antifragile che prospera nelle difficoltà
Ci sono alcuni Studi Dentistici che si spezzano letteralmente al primo scossone.
Altri che resistono finché la tempesta non passa.
E poi ci sono quelli che, mentre il mondo attorno a loro va nel caos, diventano più forti.
È la differenza tra essere fragili e diventare Antifragili.
La fragilità vive di stabilità.
Tutto funziona finché va tutto bene.
È come un cristallo, bello e lucente, ma basta un colpo e va in pezzi.
L’Antifragilità, invece, nasce dal disordine.
Prospera nel caos: più viene colpita, più si rafforza.
È un po’ come un muscolo che si irrobustisce con lo sforzo, o come una fiamma che, se soffiata nel modo giusto, cresce e aumenta d’intensità.
Te ne parlo perché esistono tre archetipi che rappresentano lo stato di evoluzione di uno Studio Dentistico.
Lo Studio Damocle
Il primo è lo Studio Damocle.
È lo Studio fragile per eccellenza.
Adesso ha un’agenda piena, un Team che lavora, Pazienti che arrivano…
ma, come per Damocle seduto davanti al suo ricco banchetto, sopra la testa del Titolare di quello Studio pende una spada, sorretta e sostenuta da un singolo crine di cavallo.
Un filo sottile che regge tutto: il mercato, i Collaboratori, i Pazienti, la salute, la serenità…
e al minimo scossone quel filo si spezza.
Basta un Collaboratore che se ne va, un calo di Prime Visite, un cambio normativo o un nuovo Concorrente che apre dall’altra parte della strada…
e tutto il castello crolla.
Lo Studio Fenice
Poi ci sono gli Studi Fenice, quelli resilienti.
Quando arriva la crisi si piegano, ma non si spezzano.
Bruciano, ma — come la Fenice — dalle ceneri risorgono, e ogni volta riescono a tornare come prima.
Solo che restare come prima, oggi, non basta più.
Perché la resilienza è una forma molto nobile di sopravvivenza… ma non di crescita.
È come dire: “Mi rialzo dopo ogni colpo.”
Benissimo.
Ma l’obiettivo non è solo rialzarsi.
L’obiettivo è mettersi nelle condizioni di non cadere e, anche se dovesse succedere, diventare ogni volta più forti dopo ogni colpo.
Lo Studio Idra
Poi ci sono loro: gli Studi Idra, gli unici davvero Antifragili.
Quando vengono colpiti non si limitano a resistere: si trasformano.
Adottano nuovi sistemi, migliorano i processi, cambiano la strategia.
Ogni volta che gli viene tagliata una testa, gliene ricrescono due.
Ogni errore diventa un’occasione per crescere e per imparare.
Ogni crisi che vivono si trasforma in un acceleratore dei loro risultati.
Lo Studio Idra non si difende dal cambiamento: lo usa come carburante per andare più veloce.
Ecco il punto di questo episodio.
Non puoi rendere davvero il tuo Studio “a prova di crisi”, perché non puoi impedire che venga colpito da una crisi.
Ma puoi renderlo capace di prosperare dentro la crisi.
Ed è questo il significato profondo dell’Antifragilità.
Perché la vera forza, nel mondo in cui stiamo vivendo, non è quella di saper resistere agli urti,
ma quella di saper crescere grazie agli urti.
E allora, in questo episodio, voglio intervistare Silvia Ferraris, la responsabile del nostro gruppo di Dental Business Coach.
Voglio farti raccontare direttamente da lei cosa serve per rendere il tuo Studio Antifragile.
Quale formato scegli?
A questo punto puoi decidere se ascoltare questo argomento grazie alla puntata del podcast “Grassi Risultati in Odontoiatria”, guardare il video oppure se immergerti nella lettura delle mie parole. A Te la scelta!
Qui sotto puoi ascoltare il podcast.
Qui puoi guardare il video
Oppure continua a leggere.
***
Intervista a Silvia Ferraris: come creare uno Sudio Antifragile
Andrea:
Silvia, ciao, benvenuta.
Silvia:
Grazie, Andrea. Ciao.
Allora, grazie di avermi invitata.
Andrea:
Beh, guarda, sei la responsabile del nostro gruppo di Dental Business Coach.
Ti ho invitata perché credo che tu abbia una visione privilegiata su ciò di cui stiamo parlando.
Attraverso i tuoi occhi, e grazie ai tuoi affiancamenti agli Studi — oltre a quelli dei Coach del nostro gruppo — ne hai viste davvero di tutti i tipi.
Tra l’altro, scusami, mi viene in mente una domanda al volo: quanti Studi avrai affiancato in questi anni con noi?
Silvia:
Sai che non ho mai fatto il calcolo preciso?
Considerando circa una trentina all’anno, direi almeno 200.
Molti di loro continuano da anni: alcuni mi seguono da sempre, da quando ho iniziato nel 2013.
Segnali per riconoscere uno Studio Damocle
Andrea:
Allora, partiamo dal primo archetipo: quello di Damocle.
Quando ti viene affidato uno Studio che inizia il percorso di implementazione del Profit Monday Operating System, quali sono quei segnali inequivocabili che ti fanno dire:
“Ecco uno Studio Damocle”?
Silvia:
Allora, il primo è non avere la più pallida idea dei numeri della propria struttura.
Nemmeno del più banale, come quanto si fattura in un anno — e sembra incredibile, ma spesso non lo sanno.
E se non conoscono il fatturato, figurati se sanno quali sono i costi o l’utile.
Il margine che hanno.
Lo sconto massimo che possono applicare.
Esattamente.
Quindi partiamo da quello.
E da lì si collegano poi tutti gli altri numeri: dalla questione di quante Prime Visite si fanno al mese, fino a qual è il preventivo medio dei Piani di Cura.
Diciamo che la mancanza di visione sui numeri è il primo tassello.
Ce n’è poi un altro che mi fa dire: “Ok, vediamo come intervenire.”
Il secondo segnale è che tutto ruota intorno al Titolare: è lui che fa tutto — clinica, gestione, organizzazione, comunicazione.
E questo lo rende il punto più fragile della catena.
Perché i Damocle sono vulnerabili
Andrea:
E senti una cosa: perché questo, nella pratica, li rende così vulnerabili, così fragili al mercato, alle dinamiche, a qualsiasi cosa possa accadere?
Silvia:
Allora, per quello che riguarda la lettura dei numeri — quindi il non avere idea dei propri numeri — banalmente: ho speso “X” in materiale di consumo… è tanto? È poco? È giusto? Perché li ho spesi?
Questi Studi arrivano a guardare i loro numeri di fatturato e di costi solo alla fine, o addirittura all’inizio, dell’anno successivo.
E capisci che andare a comprendere dopo perché hai speso quei soldi — per esempio in materiale di consumo dentale o in risorse umane — diventa impossibile.
Cosa è successo alle risorse umane se quest’anno hai speso di più?
Hai assunto qualcuno? Hai licenziato qualcuno? Cosa è cambiato?
E questo li rende fragili, perché di fatto non hanno la capacità di pensare al futuro e di pianificare investimenti o l’introduzione di nuove persone all’interno dello Studio.
Vivono nel qui e ora, e non hanno una visione a lungo termine.
E questo, tra l’altro, è un altro aspetto — secondo me — di enorme fragilità: il fatto di vivere solo nel presente.
Quando gli chiedi: “Cosa vuoi risolvere da qui al tuo prossimo anno?” (figuriamoci se chiedi da qui a tre anni).
Li vedi sgranare gli occhi e rispondere:
“Boh, ma io non so neanche cosa voglio domani. Non so come fare ad arrivare a domani.”
Questo, per quanto riguarda l’ambito numerico.
Per quanto riguarda invece l’ambito del “È tutto su di me”, banalmente: decidi di andare una settimana in vacanza… e lo Studio si chiude.
Succede un qualunque imprevisto, e senza di te lo Studio non va avanti.
Andrea:
Eh, stavo riflettendo mentre parlavi.
Per quest’ultimo caso, quando aumentano i costi e ci sono da fare spese o investimenti improvvisi…
Tutto il tempo che passi nello Studio, i prezzi che applichi, sono sufficienti per mantenere i margini?
Oppure devi correre come un cricetino nella ruota e quindi diventi molto più vulnerabile?
Interessante il discorso che facevi sul vivere nel qui e ora e sulla mancanza di visione del futuro.
Perché, mentre parlavi, riflettevo sul fatto che, probabilmente, in quel “qui e ora” la fragilità di Damocle si manifesta proprio così.
Non avendo chiaro cosa sta succedendo, anche le decisioni che devi prendere oggi, riguardo a oggi, diventano molto più complicate.
Perché — scherzavo prima — se non sai qual è la percentuale massima di sconto che puoi fare…
Se non hai consapevolezza dei tuoi numeri, dei tuoi margini, e vivi nel presente, probabilmente stai prendendo decisioni sbagliate che ti compromettono il domani.
Lo rendono ancora più incasinato, oltre che fumoso.
E senti… nella tua esperienza, qual è il momento più critico dell’essere Damocle?
C’è un punto di rottura ricorrente che vedi ripetersi, che mette in crisi i Damocle?
Il momento in cui si spezza il filo della spada e arriva giù come una tagliola?
Silvia:
Sì.
Nel senso che la cosa positiva dei nostri percorsi è che iniziano a lavorare sulle attività più basic, no?
Dal concetto del “fatti pagare nel modo corretto”.
E quindi vedono immediatamente i risultati: più soldi in banca, richiami rifatti in modo adeguato… e le agende che si riempiono.
Ma per chi vive nel “qui e ora”, quello è quasi peggio della situazione precedente.
Perché vedo che sto lavorando tanto, vedo che i Pazienti stanno aumentando, ma io sono sempre io,
e quindi il mio tempo è sempre quello.
E lì arriva il momento del: “Ok, e adesso cosa faccio?”
È proprio quel momento in cui, se non ci fossimo stati noi, probabilmente si spezza il filo.
La spada cade e taglia la testa.
Invece, quando lo Studio sceglie di reagire, quel momento diventa un punto di svolta:
si spezza il filo, ma fanno qualcosa di diverso.
È l’input che li spinge a trasformarsi, a iniziare il passaggio verso gli Studi Idra.
Cominciano a pianificare meglio il tempo proprio e quello delle altre persone che inizieranno a lavorare con loro.
Di conseguenza, direi che il momento limite è quando arriva la consapevolezza:
“Non ce la faccio più da solo.”
Entri in quella condizione in cui capisci che devi farti affiancare da qualcun altro.
E il “qualcun altro” può essere clinico o non clinico.
Non parlo solo dell’aspetto clinico, ma di tutto: anche dell’aspetto gestionale.
Quel momento in cui ti rendi conto che stai girando come un criceto — perché le cose stanno iniziando ad andare bene, ma il tempo non basta più — è proprio lì che nasce il bisogno di fare qualcosa di diverso.
Agenda e pianificazione: dall’oggi al lungo periodo
Andrea:
E su questo mi attacco, perché mi fai riflettere su una cosa.
Quanto, forse, tante volte ci sia — per mancanza di consapevolezza — anche una mancanza di consapevolezza rispetto alla reale situazione dello Studio.
Se un Dentista ti dice: “Io ho l’agenda piena, fatturiamo bene, l’utile sta crescendo… sono sicuramente fuori dal perimetro di Damocle.”
Ma davvero?
Cioè: l’agenda piena, il buon fatturato e la redditività mettono uno Studio fuori dall’essere Damocle, oppure no?
Perché, ripeto: se è tutto su di te, di fatto non sei fuori dall’essere uno Studio Damocle.
È solo che ti trovi in una fase di passaggio successiva.
Silvia:
Ti faccio un esempio, perché ce l’ho molto fresco in mente, e ho ancora davanti agli occhi l’espressione della persona con cui stavo parlando.
Si chiama Andrea — è il Titolare di uno Studio con cui stavo lavorando — e quando ha compreso questo concetto, l’ho visto proprio negli occhi, il momento in cui ha realizzato tutto.
Io parto sempre da una cosa fondamentale: ragionare sull’agenda in maniera intelligente.
E di conseguenza, dedicare tempo a organizzare la propria agenda con una visione rivolta al futuro.
Non nel “qui e ora”, ma con una prospettiva più ampia.
Qualche giorno fa parlavo con lui: è uno Studio che sta per uscire dalla fase di Damocle.
Mi diceva:
“Eh sì, Silvia, vedo effettivamente che l’agenda è sempre piena, fatturiamo di più, ho un margine molto più alto rispetto all’anno scorso… ma mi sembra sempre di essere in rincorsa.”
Ed è stato proprio lì che gli ho detto:
“Ok, guardiamo un attimo la tua agenda.”
Tra l’altro, lui aveva iniziato a inserire dei Collaboratori, e mi dice:
“Io sono molto pieno, il Collaboratore non ancora.”
E allora siamo andati a guardare la sua agenda, partendo dalla cosa più banale del mondo: pianifica i momenti di Prima Visita.
Invece di infilare le Prime Visite tra un Paziente e l’altro, pianifica blocchi dedicati, con una visione al futuro.
Gli ho chiesto:
“Quante Prime Visite fai mediamente al mese?”
Fortunatamente, in questo Studio i dati erano già disponibili.
E quindi, sulla base delle Prime Visite mensili, abbiamo impostato in agenda gli slot che serviranno nei prossimi mesi per gestire quelle visite.
Così vedi subito come si riempie l’agenda.
E una parte del tuo tempo è già dedicata a ciò che conta davvero.
Poi, successivamente, vai a inserire le cose che ti piace fare di più.
Lui è un ortodontista, principalmente.
Quindi gli ho detto:
“Perfetto, metti in agenda tutti i momenti dedicati all’Ortodonzia.”
A quel punto gli ho chiesto:
“Quanto spazio ti rimane ancora?”
Se l’agenda è già molto piena, significa che tutto il resto — la Conservativa, l’Endodonzia, la Chirurgia — o la fai tu in altri momenti (se ti rimane del tempo), oppure devi introdurre qualcuno che si occupi di quelle aree.
La pianificazione futura ti permette già di vedere come l’agenda si riempirà anche solo con le attività che hai oggi.
E questo ti consente di dire:
“Ok, devo introdurre qualcuno che si occupi della Conservativa, o dell’Endodonzia, o della Chirurgia…”
E man mano, fai la stessa cosa anche con gli altri Collaboratori.
Quindi vai a riempire le loro agende dicendo:
“Ok, adesso comincio a passargli le cose più piccole, quelle che non faccio io.”
E in questo modo hai una previsione di quella che sarà la tua saturazione nei mesi successivi.
L’ho proprio visto fare… ed è una cosa banalissima, se ci pensi.
Per noi è molto semplice, ma lui mi ha proprio detto:
“È una cosa banalissima ma estremamente intelligente, perché è una cosa che non mi verrebbe mai da fare.”
Io penso solo: “Ah vabbè, ok, domani ho l’agenda piena e va bene.”
Oppure: “È piena per due settimane, quindi tutto a posto.”
Perché spesso hanno proprio questi parametri, no?
“Quanto è piena la tua agenda?”
“Per tre settimane.”
E poi?
Cosa c’è dopo?
E allora dicono: “Va tutto bene, perché è piena per tre settimane.”
E questo aspetto, secondo me, è veramente fondamentale per fargli fare quello switch mentale:
dal “Posso ragionare solo fino a domani” al “Devo ragionare sul lungo periodo”.
Dal “numero uno” al sistema: procedure e protocolli
Andrea:
Sai cosa?
Mi hai fatto tornare a una riflessione che faccio spesso con i Titolari.
Credo che molti di loro siano davvero Damocle, nel senso più profondo del termine.
Quando, ad esempio, sono il collo di bottiglia per tutto.
Quando sono la fonte principale della produzione, di ogni cosa che accade nello Studio.
E quando loro non ci sono, il denaro smette di fluire.
Ovviamente questo li rende vulnerabili a qualsiasi cosa possa capitare — anche un banalissimo raffreddore, no?
Dall’altro lato, mentre tu parlavi del Collaboratore, dell’agenda… riflettevo su un’altra cosa:
molti, non ragionando nel lungo periodo e non avendo chiarezza su quello che succede nel breve,
diventano una sorta di dipendenti inconsapevoli del numero uno.
Mi spiego:
C’è solo una persona che sa come fare una cosa.
C’è solo una persona che fa quella cosa.
C’è solo una persona che se ne occupa.
Hanno tanti piccoli “numero uno” all’interno del loro Studio:
nel processo di ingresso dei nuovi Pazienti, nella gestione del passaparola,e così via.
Arrivano dal passaparola o, comunque, si presentano persone che chiamano…
ma basta che quella persona si ammali o vada via, e immediatamente calano anche quelli che si presentano autonomamente davanti alla porta dello Studio.
Ci sono Studi che dipendono da qualcosa di specifico, e questo li rende estremamente fragili.
Perché, se quel “qualcosa” si blocca, non avendo sistemi di ridondanza o di backup, va tutto in tilt.
E invece… beh, diciamo che oggi un po’ di indicatori per fare un check-up del tipo “Sono Damocle oppure no?” cominciano a emergere.
E per quanto riguarda, invece, quelle realtà che sono più Fenice — cioè che resistono a una crisi, che prendono un colpo ma riescono a rialzarsi —se torniamo a cinque anni fa, al periodo del Covid, lì si è visto chiaramente chi ha tirato giù la serranda e chi no.
E poi c’è chi non è stato completamente abbattuto, ma si è rialzato parecchio acciaccato.
Ecco: qual è, secondo te, la differenza fondamentale tra gli Studi Damocle e gli Studi Fenice?
Cosa ha fatto uno Studio Fenice che uno Studio Damocle non ha ancora fatto?
Silvia:
Secondo me, un grande cambiamento — il vero passaggio da Damocle a Fenice — avviene quando i Titolari comprendono che non serve il “numero uno”.
Non serve il fenomeno che fa le cose in modo fenomenale, ma che, se manca, mette lo Studio in ginocchio.
Capiscono invece che tutto si basa su procedure e protocolli.
Cioè, sul fatto che esiste un protocollo chiaro, definito a monte, che tutti seguono.
Seguendo quel protocollo, chiunque può ottenere lo stesso risultato del “fenomeno”.
Perché, di fatto, è una sequenza di attività: se le eseguo correttamente, ottengo il risultato che devo ottenere.
E questo a prescindere dal fatto che io sia più o meno esperto.
Io faccio sempre un esempio ai Titolari di Studio per spiegare questo concetto.
Dico sempre: “Io non ho la più pallida idea di come funzioni l’ambiente clinico, perché non sono una clinica.”
E allora spiego così:
“Un protocollo che funziona davvero è un protocollo che, messo in mano a me — che non sono clinica — mi permette comunque di svolgere il compito.”
Uso l’esempio clinico perché per i Titolari è più immediato comprendere un protocollo di questo tipo, rispetto a un protocollo extraclinico.
E dico sempre:
“Io sono Silvia. Non ho la più pallida idea di come si carichi un servo mobile.”
Avevo sentito parlare del servo muto, ma non ancora del servo mobile!
E quindi: bisogna caricare il servo mobile.
Io, che non l’ho mai fatto, devo avere una procedura in mano che mi permetta di farlo.
È ovvio che ci metterò più tempo rispetto a una persona esperta, perché devo capire quali oggetti devo inserire, dove e come.
Ma lo faccio.
Lo faccio con tempi un po’ più lunghi, e man mano che prendo dimestichezza nel farlo, accorcerò i tempi e diventerò sempre più performante nel “caricare il servo mobile”
Allo stesso modo bisogna fare anche lato extraclinico.
Se c’è una procedura che riguarda, per esempio, la pianificazione del pagamento con il Paziente,
so che devo seguire determinati step.
Devo inserire all’interno del gestionale la prima rata, calcolare il valore della prima rata e mettere una data di scadenza.
Poi devo fare la seconda, la terza… e so che ogni settimana devo andare a controllare lo scadenzario per verificare le scadenze in arrivo.
Questa cosa, se è scritta una volta, è scritta per sempre.
E quindi la può fare chiunque, a prescindere dal fatto che la persona in segreteria sia un’esperta o, magari, una ASO che in quel momento sta sostituendo qualcuno.
Il fatto che ci siano procedure permette di far sì che praticamente chiunque possa svolgere quell’attività.
E soprattutto, nel momento in cui mi ritrovo senza una risorsa — per qualsiasi motivo — lo Studio non crolla.
Per esempio, in questo periodo molte ASO e Segretarie sono in maternità: se mi va via la segretaria, posso inserire un’altra persona che, seguendo le procedure, è in grado di svolgere esattamente le stesse mansioni.
Questo perché lo Studio si basa su un sistema di procedure solide.
Di fatto, procedure e protocolli hanno proprio il presupposto di permettere a chiunque di replicare un risultato con sistematicità e metodo.
Ed è esattamente questo il loro valore.
Io stessa — Silvia che “carica il servo mobile”, e non ne ho la più pallida idea — posso farlo se mi dici come devo fare.
Seguo il protocollo passo dopo passo.
Leggo parola per parola e svolgo l’attività, anche se non l’ho mai fatta prima.
Andrea:
E questo i Dentisti ce l’hanno chiarissimo in testa lato clinico.
Il passaggio, forse, che molti Fenice hanno fatto rispetto ai Damocle è proprio questo:
applicare lo stesso approccio anche alle attività extracliniche.
Perché, tra l’altro, mentre parlavi, riflettevo su una cosa.
La maggior parte degli Studi che non sono ancora organizzati come serve oggi per essere una Fenice — cioè, per ricevere un colpo e riuscire a rialzarsi senza perdere ciò che avevano costruito —
hanno un problema molto chiaro.
La maggior parte delle attività, soprattutto lato extraclinico (e anche alcune legate all’organizzazione della clinica, più che all’esecuzione clinica), sono cose che lo Studio fa in un certo modo, ma senza nemmeno ricordarsi perché le fa così.
A un certo punto si sono trovati davanti a un problema, si sono inventati un sistema per gestirlo, e da lì hanno continuato a farlo così.
Hanno trovato “il loro modo”.
Quando invece lo Studio si ferma per scrivere una procedura ideale per fare quella cosa, mette in discussione il modo in cui la sta facendo.
E spesso si accorge che non è nemmeno il modo migliore, più semplice o più intelligente.
Anzi, scopre che magari la sta facendo nel modo più complicato possibile.
E riflettevo proprio su questo, pensando anche ad alcuni aneddoti che mi raccontavi in passato, rispetto a ciò che certi Studi si sono inventati per gestire certe situazioni, quando bastava farle in modo molto più semplice.
Ma quando sei immerso nella questione, non ti viene in mente.
Quando invece ti astrai per definire il protocollo o la procedura, lì sì:
ti rendi conto di tutto e capisci come migliorare davvero.
Sì, e pensavo proprio a questo mentre parlavi.
Leggere i numeri e a farsi parlare dai numeri
Andrea:
E poi, un’altra cosa: quanto è cambiato, secondo te, il rapporto con i numeri degli Studi Fenice?
Perché ho in mente una riflessione, ma preferisco fare prima questo passaggio insieme a te.
Le Fenice sono molto più consapevoli dei numeri?
O, come i Damocle, ne hanno solo un’idea vaga… e, a volte, anche sbagliata?
Silvia:
No, no, sono assolutamente molto più consapevoli dei numeri.
Hanno imparato a leggere i numeri e a farsi parlare dai numeri.
Nel senso che non ragionano più solo sulla sensazione.
Ti faccio un inciso: in realtà partono sempre dalla sensazione — e questa cosa mi fa sempre molto sorridere — perché una domanda che io faccio sempre all’inizio delle nostre sessioni è:
“Come va?”
e poi…
“Qual è la sensazione che hai adesso?”
“Come stanno andando le cose?”
Perché magari non hanno avuto modo di guardare i numeri in quel particolare momento (tanto li guardiamo insieme), e la cosa bella è che la sensazione — probabilmente perché, imparando a leggere i numeri, la concretizzi sempre di più — è spesso molto simile alla lettura del numero stesso.
Cosa che prima non succedeva.
Prima era tutto basato sulla sensazione:
“Penso che vada tutto bene, sto lavorando di più, ho l’agenda piena…”
E poi vai a guardare i numeri e scopri che è un disastro, perché non prendono gli acconti, non ci sono soldi in cassa.
Quindi la sensazione era “sta andando bene”, ma il numero diceva l’esatto contrario.
Chi ha imparato invece a leggere i numeri, riesce a essere più oggettivo anche sulla propria sensazione.
Quando ti dice:
“Mi sembra che…”
subito dopo aggiunge:
“Aspetta però, andiamolo a guardare insieme se è davvero così.”
E lì capisci che hanno fatto il click mentale:
dal “mi sembra” all’“aspetta che magari mi sto illudendo di qualcosa”.
Perché magari è successo qualcosa di particolarmente positivo nell’ultimo periodo e quindi si generalizza, si pensa:
“Va tutto bene, accettano tutti i preventivi.”
Questo può capitare, no?
Siamo tutti molto focalizzati su quello che ci è capitato nell’ultimissimo periodo.
Quindi, se nell’ultima settimana hai avuto tantissime Prime Visite e hanno accettato tutti, la tua sensazione è:
“Sta andando tutto benissimo.”
E in quel momento li vedi proprio entusiasti, pieni di fiducia.
Poi però arriva il ragionamento:
“Aspetta… questo momento è andato particolarmente bene, ma se guardo un periodo un po’ più ampio?”
E magari anche solo analizzare il mese intero, invece della singola settimana, ti dà una risposta completamente diversa.
È bello vederli in quel momento, perché ormai mi conoscono, sanno che, quando chiedo
“Dimmi qual è la tua sensazione?”
È quasi una provocazione.
Perché sanno che con le sensazioni non si va troppo lontano.
Poi c’è chi ci azzecca, e va bene.
Ma, comunque, si fanno sempre supportare dai numeri.
Quindi va bene partire dalla sensazione, ma poi vado a leggere i numeri e vedo se mi dicono la stessa cosa o se ci sono margini di miglioramento.
Proprio perché, nello Studio Fenice, che è uno Studio più strutturato rispetto al Damocle, il Titolare è solo una parte del puzzle.
Poi ci sono tutte le altre “fette” che completano il quadro.
E di conseguenza, tutto deve andare bene — non solo me.
Team, Gestione delle Risorse Umane e Mentalità del Titolare
Differenza tra un Team di uno Studio Fenice e quello di uno Studio Damocle?
Andrea:
Questa è proprio l’altra domanda che mi hai fatto nascere.
Perché dicevi:
“Ok, sono più organizzati perché l’organizzazione si basa su procedure, protocolli e non solo sulle persone.”
Perfetto.
Hanno più consapevolezza.
E allora, da un punto di vista di Team, qual è la differenza tra un Team di uno Studio Fenice e quello di uno Studio Damocle?
E poi ce n’è un’altra.
Silvia:
Lo Studio Fenice ha un Team molto più consapevole, perché il Titolare ha iniziato a condividere con il Team quelli che sono gli obiettivi dello Studio.
Di conseguenza, avere periodicamente riunioni con il Team, momenti di confronto con le Persone che lavorano insieme al Titolare, fa sì che queste Persone diventino molto più consapevoli e anche più autonome.
Perché il concetto è anche quello, no?
Il Titolare, a un certo punto, sì, resta sempre il Titolare, ma deve iniziare a delegare parti di attività ad altre Persone.
E il suo Team è formato proprio da quelle Persone a cui vengono delegate queste attività,
o comunque da Persone che hanno la capacità di prendere decisioni senza dover tirare la giacchetta al Titolare per ogni questione.
Lo Studio Damocle, invece, questo non ce l’ha minimamente.
Perché il Titolare, accentrando tutto su se stesso, non condivide nulla.
Non parla con le proprie risorse, non dà un piano — e, in realtà, non ce l’ha nemmeno lui il piano.
Perché, come dicevamo, vive nel qui e ora, quindi figuriamoci se ha un piano da condividere con le altre Persone.
Quindi la grossa differenza, quando si parla di Team, è questa:
Nel Team Fenice, le Persone sono molto più consapevoli di cosa devono fare, di come lo devono fare e di quali sono gli obiettivi dello Studio.
Nel Team Damocle, invece, no.
Perché, di fatto, non ci sono né chiarezza né delega, e spesso non ci sono nemmeno Persone in numero adeguato per raggiungere quegli obiettivi.
Andrea:
Infatti, questo era proprio un passaggio importante.
Tu sei partita direttamente dal Team, e in effetti, quando hai detto quella frase, ho pensato che molti Studi Damocle si trovano esattamente in questa situazione.
Hanno un piccolo gruppo di Persone che li supporta, ma di fatto sono il Titolare, l’ASO e magari un Igienista presente mezzo pomeriggio alla settimana — a volte nemmeno una Segretaria.
E quindi si arrangiano così, cercando di far funzionare tutto con le poche risorse disponibili.
Chi è invece una Fenice?
Banalmente, è lo Studio in cui il Titolare non è più la fonte principale, o l’unica, della produzione clinica.
C’è un gruppo di Collaboratori, più poltrone che lavorano indipendentemente da lui e, di conseguenza, più ASO a supporto.
In altre parole, c’è un vero Team.
La mentalità del Titolare
Andrea:
E senti, l’altra cosa a cui pensavo è questa.
Da un punto di vista di mentalità del Titolare — e te lo chiedo pensando ai Damocle che ti sono stati affidati dall’Accademia, quando hanno iniziato il percorso di implementazione — e alle Fenici che poi hai visto nascere proprio da quei Damocle…
Da un punto di vista di atteggiamento, di mentalità del Titolare, cosa segna davvero il passaggio?
Cosa rende uno Studio una Fenice?
Cosa serve, a livello di Mindset, per diventarlo?
Silvia:
Guarda, spero di aver compreso bene la domanda e di rispondere nel modo giusto, perché ho in mente un caso preciso: un cliente che rappresentava perfettamente questo tipo di Titolare.
Era il classico esempio di chi aveva tutto sulle proprie spalle, ma si trovava già in una fase più evoluta — un Damocle che aveva iniziato a comprendere l’importanza dei Collaboratori.
Nonostante questo, aveva una grande paura: quella di perdere le Persone accanto a sé.
“E se mi va via l’Igienista, come faccio?”
“E se mi va via la Segretaria, come faccio?”
Temeva proprio questo: la perdita di una figura chiave, perché per lui ogni Persona rappresentava un numero uno insostituibile.
Il suo vero click è arrivato nel momento in cui ha smesso di pensare:
“Devo evitare di perdere le Persone”.
E ha iniziato a ragionare in un altro modo:
“Devo organizzarmi perché, se qualcuno dovesse andare via, io possa sostituirlo rapidamente e inserirlo altrettanto velocemente.”
Proprio grazie a ciò di cui parlavamo prima — protocolli e procedure — ha capito che l’inserimento di nuove Persone può diventare un processo semplice e strutturato.
Il cambiamento mentale è arrivato quando, effettivamente, una Persona del suo Team se n’è andata e lui si è trovato a chiedersi:
“E adesso cosa faccio?”
È stato lì che ha deciso:
“No, questa condizione non può fermarmi.”
Era in una fase di forte evoluzione, anche mentale, e ha scelto di reagire in modo diverso:
si sono rimboccati le maniche, hanno gestito la situazione tutti insieme e hanno continuato a far funzionare lo Studio.
Nel gestire quella situazione di emergenza, hanno deciso di strutturarsi e creare un vero e proprio protocollo di ricerca e selezione del personale.
All’interno di questo protocollo hanno inserito una serie di domande molto mirate, pensate per comprendere non solo le competenze, ma anche l’atteggiamento delle Persone che si candidavano per quella posizione.
Domande che andavano a indagare cosa volessero davvero dal loro lavoro, quali fossero le loro motivazioni e il loro modo di affrontare le difficoltà.
Dopo la selezione, le Persone venivano inserite nello Studio per un periodo di prova, in modo da valutare sul campo la compatibilità con il Team — un po’ come facciamo anche noi in Accademia.
A quel punto sceglievano la Persona più adatta, mettendo quasi in una sorta di “competizione sana” i candidati tra loro, per individuare chi rispecchiasse meglio i valori e le esigenze dello Studio.
In questo modo, le Persone che si candidavano capivano chiaramente che non erano l’unica scelta possibile.
Il messaggio implicito era:
“Non ho bisogno per forza di te. Ti metto in competizione con altri perché voglio trovare la Persona migliore per questo ruolo.”
Questa impostazione ha funzionato molto bene.
Lui, infatti, ha continuato a mantenere attive le ricerche di personale in modo costante, anche quando non aveva una reale necessità di nuove assunzioni.
Questo atteggiamento ha due effetti importanti:
– Da un lato, mantiene il Team vigile, consapevole che lo Studio è dinamico e aperto alla crescita.
– Dall’altro, trasmette il messaggio che l’ampliamento del gruppo non è una minaccia, ma un segno di sviluppo e opportunità.
Continuare a selezionare costantemente, anche senza un bisogno immediato, gli permette oggi di avere sempre una “panchina pronta”.
Una lista di Persone già conosciute e valutate, a cui può attingere rapidamente in caso di necessità improvvise.
In lui ho visto proprio il momento del click: quella consapevolezza che segna un cambio di atteggiamento profondo.
È come se avesse detto a sé stesso:
“Ok, ho capito che così non funziona. Fino a qui non è andata come volevo, quindi devo cambiare approccio.”
Da lì ha iniziato ad avere un focus completamente diverso:
ha smesso di vivere con la paura di perdere qualcuno e ha capito che, se una Persona se ne va, non è la fine del mondo.
Semplicemente, ci si rimbocca un po’ le maniche, si gestisce la transizione e si continua a migliorare la struttura.
Ha creato un sistema di ricerca e selezione del personale che gli permette di avere sempre Persone estremamente motivate.
E oggi riceve costantemente nuovi curricula, perché è diventato attrattivo come Studio.
Quando hai un processo di selezione così ben strutturato e trasparente, trasmetti professionalità e serietà.
E i giovani, soprattutto, iniziano a pensare:
“Cavolo, voglio lavorare lì, perché è un posto dove si lavora davvero bene.”
Andrea:
Guarda, hai capito perfettamente la domanda, perché la tua risposta è davvero centrata.
Se ci pensi, fino a quando lui aveva paura di perdere le Persone — o meglio, paura che tutto potesse andare a rotoli se qualcuno avesse lasciato la squadra — era completamente in modalità Damocle.
Quelle relazioni, quei fili sottili che lo legavano alle Persone del suo Team, erano l’equivalente del crine di cavallo che, nella leggenda di Damocle, regge la spada sospesa sopra la testa.
Quando quella Persona se n’è andata, lui ha reagito da vera Fenice: ha subito il colpo, si è rialzato, ha trovato una nuova risorsa e ha imparato che — se riesci a farlo una volta — puoi sistematizzare il processo e renderlo replicabile.
Così non solo ha creato una procedura, ma ha fatto anche un passo ulteriore, che secondo me l’ha proiettato — almeno in quell’ambito — verso l’essere un po’ Idra.
Perché su quell’aspetto ha costruito un sistema che cresce ogni volta che viene messo alla prova.
È molto bello l’esempio di Damocle, perché Damocle è lì, davanti alla sua tavola imbandita, con un sacco di cose buonissime da mangiare.
E tu potresti pensare:
“Ma è a posto, no?”
In realtà no, perché tutto è estremamente precario.
Basta uno scossone e crolla tutto.
Quindi, Damocle no.
Fenice sì: le capita qualcosa, ma trova la forza per rialzarsi.
Il punto è che la resilienza — che, tra l’altro, oggi è un concetto super sponsorizzato:
“Se sei resiliente, sei un grande”.
Perché significa ogni volta essere asfaltato e poi dover ricostruire tutto da capo.
Ecco, qual è il limite di restare bloccati in questo ciclo di sopravvivenza, del tipo:
“Cado e mi rialzo, cado e mi rialzo…”?
Che cos’è, secondo te, che tiene le persone incastrate lì e non permette loro di fare lo step successivo?
Quello che porta ad avere sempre meno cose che le fanno cadere, sempre meno situazioni che le mettono in ginocchio, perché iniziano a costruire uno scudo di protezione, una sorta di corazza di Antifragilità?
La Fenice è resiliente, ma è ancora fragile, perché il caos la mette comunque a terra.
Non so se mi sono spiegato chiaramente… però la domanda è un po’ caotica, quindi rispondi pure in modo caotico anche tu!
Silvia:
Credo che la differenza stia nel rendersi conto di dover avere un sistema che metta ordine e renda tutto strutturato.
Ma lo step successivo è comprendere che non tutto può stare sulle proprie spalle.
Un Titolare Antifragile conosce perfettamente ciò che deve accadere: sa leggere i numeri, conosce il controllo di gestione… ma non è lui a occuparsene direttamente.
Mette qualcun altro nella posizione di farlo.
Allo stesso modo, conosce il Marketing, sa quali attività servono per farlo funzionare all’interno dello Studio, ma non si mette in prima persona a gestirlo: cerca Partner o Persone che se ne occupino per lui.
Lo stesso vale per la gestione delle Risorse Umane e del Team: sa esattamente quali procedure servono — dall’inserimento dei Collaboratori ai sistemi di incentivazione — ma non gestisce tutto da solo.
Si fa affiancare, con un approccio strutturato.
In sintesi, chi arriva a questo livello conosce e ha interiorizzato tutti i pilastri fondamentali della struttura dello Studio Dentistico, ma allo stesso tempo ha creato un vero Team di Persone e Fornitori che gli permette di staccarsi, perché le cose continuano a funzionare anche in sua assenza.
Dietro ogni attività c’è un piano deciso da lui, ma delegato alle figure più competenti in ciascun ambito.
La stabilità finanziaria nei 3 archetipi
Andrea:
È, di fatto, il passaggio dall’avere protocolli e procedure all’avere sistemi veri e propri: lo step evolutivo successivo.
E tra l’altro, mentre parlavi, non so cosa mi abbia fatto accendere una lampadina, ma riflettevo su un aspetto che non avevamo ancora toccato: la questione del denaro.
Pensavo al fatto che, tante volte, quando lo Studio è in una situazione “Damocle”, il conto corrente lo rappresenta perfettamente.
Cioè, sì, ci può essere un momento di abbondanza… ma poi arrivano i pagamenti dei fornitori, le tasse, gli acconti — e, visto che tra l’altro siamo in periodo quasi di acconti — lo Studio si azzera.
E ogni volta devono ricostruire tutto da capo.
Il Damocle vive così: in una condizione di continua mancanza di stabilità e solidità finanziaria.
Una delle cose che probabilmente invece caratterizza la Fenice, e che la aiuta anche a rialzarsi e a sostenere meglio le difficoltà, è proprio avere un conto corrente più solido, con un saldo più forte.
Perché una gestione finanziaria corretta è la base della solidità.
E quando succede qualcosa, il fatto di avere un conto con un saldo stabile dà un senso di sicurezza in più.
Ti fa mantenere lucidità.
Perché — come dicevi prima — se vuoi diventare una Fenice, e quindi concretizzare quella resilienza, devi avere anche la forza interiore e la lucidità per farlo.
E sapere di avere le spalle coperte da una situazione finanziaria dello Studio solida, ti dà più tranquillità.
E su questo torno con la mente ai discorsi che facevamo nel periodo del Covid.
Perché tante persone erano andate così in panico, e tanti Titolari erano nel panico?
Perché alcuni, invece, erano più sereni… e altri, in quel periodo, avevano addirittura pestato sull’acceleratore.
Che poi, mentre parlavi, mi è venuto in mente proprio quel concetto del “tempo di autonomia”, o meglio — come lo chiamavamo noi — del “tempo di apnea”.
Ti ricordi? Ne parlavamo in questi termini.
Cioè: quanti mesi puoi resistere senza che tutto crolli?
E, di conseguenza, qual è il saldo del tuo conto corrente?
Quanti mesi può sostenere la tua Attività e la tua vita senza che tu incassi un euro?
Riflettevo sul fatto che probabilmente gli Studi Fenice hanno una capacità decisamente superiore…
una capacità polmonare di apnea molto più ampia.
Però restano ancora bloccati in quella fase in cui, quando arriva qualcosa che li colpisce, consumano ciò che hanno creato, ripartono…
ma di fatto ripartono solo per ricostruire ciò che hanno perso.
E così tornano sempre al punto di partenza, senza riuscire a evolversi davvero, senza fare quello step successivo.
Non so se mi sono spiegato chiaramente — ho cercato di dare forma ai pensieri e alle sensazioni che mi stavi trasmettendo.
Conclusione
E guarda, su questo mi collego a un’altra domanda che voglio farti.
Non so se hai mai fatto questo conto, eh… sempre che ti riguardi direttamente.
Ma su questo voglio fare un passaggio più approfondito, magari entrando nel tema dell’Idra.
Anzi, no.
Fermiamoci qui prima della prossima domanda, perché l’intervista sta diventando davvero lunga.
Ci sono ancora le parti più interessanti e succose da trattare, ma andremmo troppo lunghi.
Quindi, mi raccomando: segui il Podcast e clicca sulla campanellina, così ricevi una notifica non appena viene pubblicato il prossimo episodio, nel quale concluderemo l’intervista con Silvia.
Ti aspetto là.
Ciao!
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